verbum

LOGOS (gr. λόγος; lat. Verbum). La ragione in quanto 1° sostanza o causa del mondo; 2° persona divina.

1° La dottrina del L. come sostanza o causa del mondo è stata per la prima volta difesa da Eraclito. «Gli uomini sono ottusi nei confronti dell’essere del L., dice Eraclito, sia prima che dopo averne sentito parlare; e sembrano inesperti, sebbene tutto avvenga secondo il L.» (Fr. 1, Diels). Il L. è concepito da Eraclito come la legge stessa del mondo: «Tutte le leggi umane si alimentano di una sola legge divina: perchè questa domina tutto ciò che vuole e basta a tutto e prevale su tutto» (Fr. 114, Diels). Questa concezione fu fatta propria dagli Stoici, i quali videro nella ragione il « principio attivo» del mondo, che anima, ordina e guida il principio passivo di esso, che è la materia. «Il principio attivo, dicevano, è il L. che è nella materia cioè Dio: esso è eterno e attraverso la materia è l’artefice di ogni cosa» (Diog. L., VII, 134). Il L. cosi inteso, cioè come principio formativo del mondo, è identificato dagli Stoici col destino (Ibid., VII, 149). Nello stesso senso Plotino afferma: « Il L. che agisce nella materia è un principio attivo naturale: non è pensiero nè visione ma potenza capace di modificare la materia, potenza che non conosce ma agisce come il sigillo che imprime la sua forma o come l’oggetto che riproduce il suo riflesso nell’acqua; come il cerchio viene dal centro, cosi la potenza vegetativa o generatrice riceve d’altronde la sua potenza produttiva cioè dalla parte principale dell’anima, la quale gliela comunica modificando l’anima generatrice che risiede nel tutto » (Enn., II, 3, 17). In tal senso il L. è lo stesso Intelletto divino in quanto ordinatore del mondo: « Dall’intelligenza emana il L. e ne emana sempre, fin tanto che l’Intelletto è presente in tutti gli esseri » (Ibid., III, 2, 2). Questa concezione è servita da modello a tutte le forme del panteismo moderno (v. Dio).

2° La dottrina del L. come ipostasi o persona divina trova la sua prima formulazione per opera di Filone di Alessandria. In questa dottrina, il L. (548) è un ente intermedio tra Dio e il mondo, il tramite della creazione divina. Dice Filone: « L’ombra di Dio è il suo L., servendosi del quale come di strumento, Dio creò il mondo. Quest’ombra, è quasi l’immagine derivata e il modello delle altre cose. Giacché come Dio è il modello di quella sua immagine o ombra che è il L., cosi il L. è il modello delle altre cose » (Leg. All., III, 31). Dal cristianesimo, il L. viene identificato col Cristo. Il prologo dell’Evangelo di San Giovanni, accanto alle funzioni che già Filone attribuiva al L., aggiunge la determinazione propriamente cristiana: «Il L. si è fatto carne ed ha abitato tra noi » (Joann., I, 14). Nella sua elaborazione della teologia cristiana, i Padri della chiesa insistettero sui due punti seguenti: 1° sulla perfetta parità del Logos-Figlio col Dio-Padre; 2° sulla partecipazione del genere umano al

L. stesso in quanto ragione: «Noi imparammo, dice ad es. Giustino, che Cristo è il primogenito di Dio e che è il L., del quale partecipa tutto il genere umano» (Apol. Prima, 46). Contro gli Gnostici seguaci di Valentino, per i quali il L. è l’ultimo degli Eoni, che, per essere più vicino al mondo, è quello destinato a formarlo, Ireneo afferma l’uguaglianza di essenza e di dignità tra Dio padre e il L., come di entrambi e dello Spirito Santo (Adv. haeres., II, 13, 8). Su questi concetti dovevano fondarsi le formulazioni dogmatiche del sec. iv, specialmente le decisioni del Concilio di Nicea (325) intorno ai due dogmi fondamentali del cristianesimo, la Trinità e l’Incarnazione. Ma nel frattempo la nozione di L. continuò ad oscillare tra l’interpretazione che esige la perfetta parità del L. con Dio e quella che invece stabilisce una certa differenza gerarchica fra le due ipostasi. La dottrina di Origene, che fu il primo grande sistema di filosofia cristiana (III secolo), inclina piuttosto verso la seconda interpretazione. Origene afferma che si può dire del L., ma non di Dio, che ò l’essere degli esseri, la sostanza delle sostanze, l’idea delle idee: Dio è al di là di tutte queste cose (De Prine., VI, 64). Pertanto, il

L. è coeterno con il Padre, il quale non sarebbe tale se non generasse il Figlio, ma non è eterno nello stesso senso. Dio è la vita e il Figlio riceve la vita dal Padre. Il Padre ò Iddio il figlio è Dio (In Joann., II, 1-2). Come già si è detto, la Chiesa, nelle sue assisi conciliari, si pronunciò contro questa interpretazione, che rimase l’appannaggio di tentativi eretici, più volte rinnovati nel corso della sua storia.

La dottrina del L. è rimasta una dottrina religiosa. I filosofi hanno fatto ricorso ad essa solo quando hanno voluto dare una veste religiosa alla loro dottrina. Cosi ha fatto Fichte nella seconda fase del suo pensiero. Nella Introduzione alla vita beata (1806) Fichte, ricorrendo al prologo dell’Evangelo di San Giovanni, vuol mostrare l’accordo del suo idealismo con il Cristianesimo; e pertanto riconosce nel L. ciò che egli chiama l’Esistenza o la Rivelazione di Dio (al di là della quale rimane l’Essere di Dio): cioè il Sapere, l’Io, l’Immagine, di cui la vita divina è a fondamento (Werke, V, pag. 475).