theologia

TEOLOGIA (gr. θεολογία; lat. Theologia·, inglese Theology; franc. Théologie; ted. Theologie). In generale, ogni trattazione o discorso o predica che abbia per oggetto Dio o le cose divine. In questo senso generalissimo la parola fu intesa dal grande erudito romano Marco Terenzio Varrone (sec. i a. C.), del quale S. Agostino ci ha conservato la distinzione di tre T.: la T. mitica o favolosa; la T. naturale o fisica; la T. civile. La T. mitica o favolosa è quella di cui si servono i poeti e che ammette molte finzioni contrarie alla dignità e alla natura della divinità. La T. naturale è quella dei filosofi, che ha per oggetto « ciò che gli dèi sono, il luogo in cui risiedono, il loro genere, la loro essenza, il tempo in cui sono nati o la loro perennità; e se essi prendono il loro principio dal fuoco, come crede Eraclito, o dai numeri come dice Pitagora o dagli atomi come dice Epicuro». Infine la T. civile « è quella che nelle città i cittadini, e soprattutto i sacerdoti, devono conoscere e praticare e che insegna quali divinità si debbano onorare pubblicamente e quali cerimonie e quali sacrifìci sia opportuno fare» (Agostino, De Civ. Dei, VI, 5). In questo senso Varroniano, Vico considerava la sua «scienza nuova» come «una T. civile ragionata della prowedenza » in quanto essa trae origine dalla «sapienza volgare dei legislatori che fondarono le nazioni con contemplare Dio per l’attributo di provvedente » (Sc. N., II, Corollari d’intorno agli aspetti principali di questa scienza). In senso più specificamente storico-filosofico si possono distinguere: 1° la T. metafisica; 2° la T. naturale; 3° la T. rivelata; 4° la T. negativa.

1° Aristotele chiamò T. la sua « scienza prima » cioè la metafisica: che egli intendeva, nello stesso tempo, come scienza dell’essere in quanto essere cioè della sostanza e come scienza della sostanza eterna, immobile e separata, cioè di Dio (Met., VI, 1, 1026 a 10). Questo concetto della T. come metafìsica è rimasto per lunghi secoli. Lo stoico Cleante includeva la T. tra le parti della filosofìa (Diog. L., VII, 41). Per Plotino, la T. era la sola scienza degna del nome (Enti., V, 9, 7). E da questo punto di vista spesso i neoplatonici chiamarono teologi tutti i filosofi, anche i fisici o i materialisti, in quanto si occupavano, come dice Proclo, dei « principi primissimi delle cose in quanto per sè sussistenti» (Plat. Theol., I, 3.) Questo è anche il significato che Varrone attribuiva all’espressione « T. naturale ». Quest’uso continuò nella filosofìa cristiana: nè nella patristica nè nella prima età della scolastica si potrebbe rintracciare una delimitazione precisa tra T. e filosofia. Lo stesso S. Tommaso, in una prima fase del suo insegnamento, accettò l’identità di T. e di metafisica come appare dal prologo del suo commento alla Metafisica di Aristotele. Qui egli dice che poiché la metafisica considera in primo luogo le sostanze separate o divine, in secondo luogo l’ente in quanto tale e in terzo luogo le cause o i principi primi, essa « si dice scienza divina ο T. in quanto considera le sostanze separate; metafisica in quanto considera l’ente;… e prima filosofia in quanto considera le cause prime delle cose» (In Mei., Proemium).

Nel sec. XVII si cominciò a distinguere la «filosofìa prima», che si chiamò anche ontologia (v.), dalla T.; e si cominciò a distinguere anche la T. come scienza naturale dalla T. fondata sulla rivelazione. Queste distinzioni si trovano chiaramente stabilite nel De Augumentis Scientiarum (1623) di F. Bacone: che chiamò T. naturale la conoscenza che si può ottenere di Dio « mediante il lume della natura e la contemplazione delle cose create» (De Augm. Scient., Ili, 2) e chiamò T. ispirata o sacra quella che si fonda su princìpi direttamente ispirati da Dio (Ibid., Ili, 1).

2° U secondo concetto della T. è pertanto quello di T. naturale che si distingue dal precedente soltanto per il fatto di comprendere una parte e non il tutto della metafisica; e precisamente [869] quella parte che ha per oggetto le cose divine. L’espressione baconiana «T. naturale» fu ripresa e diffusa da Wolff: questi la definiva come «la scienza di ciò che è possibile per opera di Dio» perciò come una parte della filosofia, la quale è in generale la scienza delle cose possibili (Log., Disc. Prael., 57). Baumgarten insisteva sul carattere razionale della T. cosi intesa: «La T. naturale è la scienza di Dio in quanto si può conoscere senza la fede » (Met., § 800); e la riteneva come fondamento della filosofia pratica, della T. e della T. rivelata (Ibid., § 601). Fu questo il concetto di

T. che, insieme con il suo contenuto, subì la critica di Kant nella Critica della Ragion Pura. Kant tuttavia si preoccupò pure di distinguere le varie specie della T.; e partendo dalla distinzione base tra T. razionale e T. rivelata, distinse, nella T. razionale, la T. trascendentale la quale « concepisce il suo oggetto semplicemente con la ragion pura, mediante meri concetti trascendentali (ens originarium, realissimum, ens entium) » e la T. naturale che si avvale di « concetti che ricava dalla natura ». A sua volta la T. trascendentale può essere cosmoteologia se deduce resistenza di Dio dall’esperienza in generale; od ontoteologia se deduce la sua esistenza con semplici concetti senza ricorrere all’esperienza. Infine la T. naturale può essere o

T. fisica, se risale agli attributi di Dio movendo dall’ordine e dalla costituzione del mondo; ο T. morale, se considera Dio come il principio dell’ordine e della perfezione morale (Crit. R. Pura, Dialettica, cap. Ili, sez. VII). Alcune di queste distinzioni sono rimaste e ancora vengono adoperate nel campo della T. ecclesiastica.

3° La T. rivelata o sacra è quella che desume i suoi principi dalla rivelazione. La prima esplicita formulazione di questo concetto è, probabilmente, quella tomistica: S. Tommaso afferma che «la sacra dottrina è scienza giacché procede da principi noti attraverso il lume di una scienza superiore, che è la scienza di Dio e dei beati » (S. Th., I, q. 1, a. 2). La «scienza di Dio e dei beati» coincide poi con « gli articoli di fede » o « la rivelazione divina » (Ibid., a. 7-8). Era questa la T. che Duns Scoto considerava come scienza puramente pratica, di fronte alla metafisica, che egli considerava come la scienza teoretica per eccellenza: la

T. infatti non avrebbe altro scopo se non quello di persuadere l’uomo ad agire per la propria salvezza (Op. Ox., Prol., q. 4, n. 42); e le stesse verità apparentemente teoretiche avrebbero solo valore pratico come, per es., la proposizione «Dio è trino » che includerebbe semplicemente la conoscenza del retto amore che l’uomo deve a Dio (Ibid., Prol., q. 4, n. 31). La negazione del valore conoscitivo della T. persiste, sul finire della scolastica, anche quando non si riconosce alla totalità di essa il carattere pratico. Ockham, considerava la T., non come una scienza, ma come un semplice insieme di conoscenze diverse, teoretiche e pratiche, poggianti esclusivamente sull’autorità e aventi lo scopo di avviare l’uomo alla salvezza (In Seni., Prol-, q. 12, E-I). Questo concetto non è molto diverso da quello che Spinoza doveva esporre più tardi nel Trattato teologico-politico (cfr. specialmente cap. 15).

4° Il concetto della T. negativa è sorto e si è tramandato nell’ambito del misticismo. La distinzione tra T. positiva o affermativa, la quale procede da Dio verso il finito mediante la determinazione degli attributi o nomi di Dio; e la T. negativa che procede dal finito a Dio e lo considera al di sopra di tutti i predicati o nomi coi quali si può designarlo, si trova nei trattati dello Pseudo Dionigi l’Areopagita (De myst. theol., 1; De div. nom., I, 4; 4, 2; 13, 1 ; De eccl. hyerar., 2, 3); ma la sua fonte è negli scritti neoplatonici che pongono Dio al di sopra di tutte le determinazioni finite e dello stesso essere (v. Trascendenza). Essa viene ripetuta da Scoto Eriugena (De divis, nat., II, 30), ripresa dal misticismo speculativo tedesco del sec. xiv (cfr. Eckhart, in Pfeiffer, Deutsche Mystiker des 14 Jahrhunderts, II, pag. 318-19); e nel Rinascimento da Nicolò da Cusa (De docta ignor., I, 24; 26) e da Bovillo (De nihilo, 11, 1, 4).

Si può considerare come una manifestazione di questa T., rivissuta attraverso l’esperienza di Kierkegaard, la cosiddetta « T. della crisi » di K. Barth: soltanto che una tale T. non consiste nel negare di Dio gli attributi finiti ma nel considerare il rapporto tra l’uomo e Dio come la negazione di tutte le possibilità umane (crisi) e la loro riduzione a mere impossibilità, sicché solo da questa negazione nasca una possibilità di salvezza, di origine, non più umana, ma divina (Römerbrief, 1919).